lunedì 26 luglio 2010

IL SOCIALE POLITICO

Tante volte in passato mi sono chiesto se operare nel sociale equivale a fare "politica". Oggi come allora la risposta è sempre la stessa. Se operare nel sociale significa rimuovere tutto ciò che ostacola e si oppone al cambiamento necessario per poter costruire una società dove il disagio e la diversità si integrano totalmente con tutti gli altri suoi elementi allora si fa politica.
Sono convinto, così come tanti altri, che la politica deve rendere operative tutte le idee che soggiacciono alla risoluzione dei problemi. Risolvere i problemi deve essere uno dei pochi compiti a cui deve assolvere la politica.
Ovviamente mi riferisco ai problemi che affliggono la comunità nella sua interezza. L'anziano, il disabile, il tossicodipendente, l'alcolista, il povero, ecc. non possono essere considerati solo singoli cittadini. Una società civile e sana non può non considerare il disagio in generale come elemento parte del tutto. Se il disagio di un singolo diventa il disagio di tutti affrontarlo e risolverlo fin dove è possibile risulta di gran lunga più semplice.
Oltretutto se l'essere umano è un animale sociale non può essere separato in tante unità non comunicanti tra loro. L'inclusione di cui tanto si parla oggi è una delle risposte possibili e praticabili da condividere. Non si possono ottenere dei risultati positivi e duraturi se non si lavora in questa direzione. Demolire i pregiudizi, l'ignoranza, i bassi interessi, ecc. deve rappresetare la via maestra per tutti gli operatori che vogliono costruire una comunità di persone sane ed equilibrate. Non bisogna più concentrarsi solo sul singolo, sul portatore del disagio, ma su tutto ciò che lo circonda. Non si guarisce se non si abbatte l'isolamento in cui ci si costringe e si è costretti.    

sabato 8 maggio 2010

PERCHE' "CONFRONTO SOCIALE" di Michele G. Galatro

"CONFRONTO SOCIALE" nasce dall'esigenza di dar vita ad uno spazio dove, chi opera nel sociale, possa confrontarsi e farsi conoscere.
Confrontarsi perchè bisogna andare oltre le proprie esperienze, le proprie idee, le proprie convinzioni, il proprio mondo.
Farsi conoscere perchè bisogna rompere l'isolamento a cui il sociale è costretto.

Chi se non l'operatore sociale, oltre ai diretti interessati, ha l'obbligo di denunciare (salvo possibili eccezioni) l'isolamento a cui è sottoposto il disagio, la diversità, la povertà, la solitudine, ecc.
Operare nel sociale significa modificare la realtà.
Laddove l'intervento si lascia delimitare siamo sicuri di ottenere un buon risultato? Ci si può limitare ad eseguire correttamente delle procedure standard o quasi? Siamo sicuri che il soggetto trattato viene sempre considerato una persona? Quale deve essere il ruolo dell'operatore?

Le risposte a questi e a tanti altri interrogativi possibili debbono far riflettere chi opera nel sociale.
Avere coscienza di sè, di quello che si fa, della situazione che si affronta, non è sufficiente se si vuole realmente incidere. Bisogna sforzarsi di andare oltre il semplice contesto affinché si attivino delle relazioni tendenti a promuovere la parte come elemento essenziale del tutto.

Una società sana dovrebbe farsi carico, nel suo insieme, di quegli elementi che sembrano discostarsi e, per questo ritenuti, a seconda delle peculiarità, una minaccia, un peso, ecc. Ma come si può operare correttamente se non si coinvolge l'intera collettività nel suo insieme. Per conseguire dei risultati positivi e duraturi non si può prescindere dalla consapevolezza che tutti, indipendentemente dal proprio ruolo, abbiamo il dovere di intervenire. Dobbiamo mutare atteggiamento, quindi, nei confronti di ciò che si ritiene, erroneamente, non riguardare tutti.

Anche per questo può essere utile offrire questo spazio non solo a chi, come già detto, specificamente e quotidianamente ha a che fare con il disagio in generale ma, anche, a tutti coloro che non vogliono assolutamente mortificare le proprie coscienze.